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giovedì 2 febbraio 2017

PARLANDO DI CARGO BIKE CON IL TOURING CLUB ITALIA

Non temono l’inverno e il freddo, se la cavano egregiamente sul ghiaccio e in più danno una grossa mano a non congestionare il traffico e a non inquinare un’aria già malaticcia e affumicata da caldaie e stufe a pieni giri. Sopra ci può andare di tutto, dai bambini ai cani, dai gatti alle fioriere, attrezzi e gelati: sono le Cargo Bike.

In Italia se ne vedono ancora pochine, ma nei paesi nordici, in particolare in Danimarca, le biciclette da trasporto sono un oggetto di locomozione sempre più diffuso, soprattutto nelle famiglie con bambini (e animali domestici a corredo). La cargo bike non è l’esperimento riuscito di un brand creativo, è la risposta efficace a un’esigenza diffusa e l’evoluzione di questa risposta nel corso degli anni: un vero oggetto di design.

CARGO BIKE, LE ORIGINI
12 luglio del 1817. Karl Drais copre la distanza tra le cittadine tedesche di Mannheim e Schwetzingen (circa 28 chilometri) su uno strano aggeggio chiamato Laufmaschine (macchina per correre) in legno e ferro. Era la Draisina, l’antesignana del francese velocipède e dell’italiana bicicletta.

Ma nelle città sempre più industrializzate gli spazi per le stalle diminuiscono e di conseguenza anche il numero dei cavalli. E mentre i professionisti più giovani e arditi sperimentano l’equilibrio sulle due ruote, donne e anziani si affidano ai più stabili tricicli.



IN INGHILTERRA AL SERVIZIO DELLE POSTE
In certi casi tre ruote sono meglio di due, soprattutto per sopportare un carico abbondante. Così, nel 1881 Il servizio postale britannico commissiona alla Bayliss-Thomas dei solidi tricicli per trasporto merci, che in poco tempo vennero perfezionati con sterzo anteriore e catena. Ecco la prima cargo bike, una bicicletta che da allora non ha smesso di mettersi al servizio della mobilità intelligente e del trasporto a impatto zero.

IN DANIMARCA, TERRA DELLA SPERIMENTAZIONE
Già agli inizi del secolo scorso la Danimarca era davanti a tutti per la propensione a muoversi senza motore. Sulle strade sfilavano lo Short John (bici con un cesto davanti appoggiato al telaio e ruotino per ospitare un carico maggiore sul fronte), e nei primi anni ‘20 la Long John: una cargo bike che fino all’avvento del motore diventa il mezzo principale per il trasporto merci in tutta la Danimarca, soprattutto per le consegne a domicilio.



Fino agli anni ’50 sono tantissimi i giovani danesi che spingono sui pedali cargo bike sempre più cariche. Alle Long John e alle Short John si iniziano ad aggiungere modelli più robusti. Il declino arriva nel dopoguerra con la diffusione dei mezzi a motore. Ma sarà un declino temporaneo.
L’ITALIA PRIMA DEL BOOM
Nell’immaginario collettivo siamo il paese della Vespa ma invero fino agli anni '60 guidare un mezzo motorizzato era un lusso per pochi. Nelle città (e non solo) si pedalava, e molto, con biciclette a due o a tre ruote per finalizzare una vendita in strada, per offrire un servizio alla gente, per portare ghiaccio, gelati e grattachecche, per affilare coltelli, per aggiustare suole. E la bicicletta muoveva le persone alla scoperta di un paese per molti ancora sconosciuto, come ci ha insegnato la storia del TCI, iniziata proprio sulle due ruote.


CARGO BIKE, FUTURO GREEN E SOSTENIBILE
Moltissimi gli spunti che arrivano dal progetto cyclelogistics.eu, promosso dall’Unione Europea e centrato proprio sul trasporto in bicicletta. Senza entrare nei tecnicismi a noi basta il conforto di leggere che negli ultimi dieci anni in una città come Copenhagen il mercato delle Cargo Bike ha macinato vendite per 35mila unità e un quarto dei residenti ne fa un utilizzo quotidiano.

Eppur si muove, anche nell’Europa mediterranea, e persino in Italia, dove nei centri maggiori sempre più privati e aziende stanno ripensando il modo di vivere la mobilità urbana vendendo magari la seconda auto e investendo in una Cargo Bike. Tanti i produttori di biciclette che stanno aggiornando le loro linee di produzione e i loro cataloghi. I prezzi sono ancora in una fascia tra i millecinquecento e i 3mila euro e oltre (quelle a pedalata assistita), ma l’investimento è il migliore possibile per far abbassare le soglie di inquinamento, alleggerire il traffico dei centri storici e migliorare la qualità di vita, magari non pagando più bollo di circolazione e benzina.